Non basta dire che La Mamounia di Marrakech è un hotel di lusso. Non basta nemmeno dire che è uno dei più bei cinque stelle del Marocco. Più appropriato sarebbe dire che è un monumento dell’ospitalità a livello internazionale. Ebbene, a ottobre 2023, questo monumento ha festeggiato un secolo di attività. E come si addice ai traguardi storici, lo ha fatto invitando amici, clienti e vip da tutto il mondo per tre giorni di eventi spettacolari: cene di gala, performance, concerti (c’era anche Mika tra i musicisti sul palco), fuochi d’artificio. Durante il party è stato anche rivelato lo Chandelier du Centenaire, il nuovo lampadario lungo quasi nove metri e composto da 3.000 elementi in vetro soffiato sospeso a meno di un metro dal pavimento della lobby. Soprannominato le bijou de la Grand Dame perché ricorda le collane a più fili delle donne berbere, è stato disegnato dello studio Jouin Monku che ha curato anche l’ultima ristrutturazione dell’hotel.
Luoghi e prospettive della Grand Dame
Ma partiamo dall’inizio. Nel XVIII secolo, l’allora sultano Mohammed Ben Abdallah regalò al figlio, in occasione delle nozze, un rigoglioso frutteto di 13 ettari con ulivi, roseti, aranceti. Da allora Arset El Mamoun, questo il nome del giardino, fu luogo di svago e feste della famiglia reale, fino al 1923, quando la Moroccan Railway Company, anch’essa di proprietà del re, decise di costruire proprio lì un hotel. Il progetto fu affidato agli architetti francesi Henri Prost e Antoine Marchisio, che realizzarono un palazzo principesco immerso in un parco e protetto da mura tutto intorno, a pochi minuti da piazza Jemaa-el-Fnaa, cuore della città.
Doveva essere l’hotel di rappresentanza del Marocco, avere un servizio impeccabile, accogliere celebrità e personalità in visita. E in effetti è sempre stato così, basta leggere i nomi degli ospiti: Winston Churchill, Franklin Roosevelt, Charles De Gaulle, Nelson Mandela, Charlie Chaplin, Marcello Mastroianni, Francis Ford Coppola, i Rolling Stones Tom Cruise, Salma Hayek, Sharon Stone, Gwyneth Paltrow, Juliette Binoche, i Rolling Stones. Qui soggiornarono anche Yves Saint Laurent e Pierre Berger mentre cercavano casa a Marrakech. Questo solo per farsi un’idea, ma la lista è ben più lunga e sempre interessante. Gli ospiti di ogni epoca e il loro stile hanno creato un’atmosfera leggendaria e misteriosa che va oltre agli intarsi, alle essenze pregiate, ai marmi e alle colonne, alla facciata semplice e ai giardini.
Il Bar Majorelle e i suoi dettagli
Magari i nostalgici rimpiangono certi fasti del passato. Ma gli alberghi sono luoghi da vivere, non musei da guardare e non toccare e devono adeguarsi al gusto e ai bisogni degli ospiti. Dei molteplici interventi, uno dei più sostanziali è stato quello dell’architetto Jacques Garcia nel 2009, che ha dato un’impronta intensa, con velluti e cuoio, e ha avuto l’intuizione di collocare la palestra con una parete vetrata tra le palme del parco. Con l’arrivo dello studio Jouin Manku, è iniziata una fase più contemporanea. Nel 2020 l’hotel ha riaperto interamente rinnovato, senza perdere il suo splendore, la sua meravigliosa spa con l’hammam tradizionale, i suoi ristoranti ora affidati a due celebrità dell’alta cucina, lo chef Jean-Georges Vongerichten, che a dispetto del nome fa un vitello tonnato da far perdere la testa a un piemontese, e il pasticciere francese Pierre Hermé, maestro mondiale dei macaron.
Non lasciamoci intrappolare nei ricordi, e concediamoci un’ospitalità fatta di piccole attenzioni e atmosfere perfette. All’ingresso due bawab in mantello bianco aprono le porte a ogni ospite, salutandolo come se fosse il più importante. E un po’ così ci si sente in quella scenografia di marmi, intarsi, dorature e velluti e poi nelle suite accoglienti somma di stucchi e piastrelle Zellige, lenzuola morbide e profumi d’oriente. Qui ci fermiamo volentieri sul balcone affacciato sul parco: dalla moschea della Koutoubia, proprio lì davanti ai nostri occhi, il muezzin chiama la città alla preghiera della sera, mentre il cielo e le mura del palazzo si colorano di un rosa sempre più intenso fino a dileguarsi nel buio illuminato da migliaia di lanterne accese. È un momento magico, irripetibile.
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