Journal

Nepal • Testo di Sara Magro

Mustang: una destinazione ritrovata

Situato a nord del Nepal, nell’Himalaya, il Mustang comprende la valle del fiume Kali Gandaki. Ha una sua lingua, una sua religione (buddismo tibetano e rituali pagani) e sue tradizioni, esistenti solo lì. Con alte montagne e un clima rigido, il paesaggio è arido ma spettacolare. E arrivarci è ancora una sfida con la capitale Lo Manthang a 3.800 metri di altitudine. Anzi, fino a poco tempo fa era proprio impossibile. È rimasta isolata fino al 2012, quando è stata completata la strada che collega la Cina alle pianure del Nepal, suscitando non poche perplessità sull’impatto che avrebbe avuto sulla cultura e le tradizioni del piccolo regno. Invece è riuscito a conservare il suo fascino di terra proibita, anche se ora qualcuno emigra in cerca di opportunità negli Stati Uniti o nei paesi ricchi del Medio Oriente, e quasi mai torna. Ma questa è la storia dell’umanità.

Il paesaggio di laghi e montagne del Mustang

L’unicità del Mustang va attribuita alle sue complicate condizioni di vita, in un ambiente grandioso e spirituale.

Qui si è conservata l’espressione più autentica del buddismo tibetano, dall’atmosfera intima e iniziatica. E anche se l’attrazione per uno stile di vita più moderno è forte, il paese resta radicato alle sue tradizioni e al suo patrimonio culturale.

Le grotte scavate nella roccia dimostrano la presenza dell’uomo fin dal 2.800 a.C., mentre il buddismo si è diffuso a partire dal VII secolo dal Tibet, di cui il Mustang faceva parte fino al 1440. Nel 1790 fu integrato nel Regno del Nepal. Dopo l’occupazione cinese del Tibet, nel 1960, Cina e Nepal hanno firmato un accordo che chiudeva il confine tra il Tibet e il Mustang. I combattenti tibetani si rifugiarono nel Mustang, che restò isolato fino al 1992, quando il governo ha aperto ai viaggiatori internazionali. Fino al 2008, quando il Nepal si è dichiarato repubblica indipendente, l’Alto Mustang era presieduto da uno degli ultimi re himalayani, Jigme Dorje Palbar Bista, morto nel 2016.

Intuendo le potenzialità turistiche di questo piccolo regno incontaminato e dimenticato,  la famiglia Sherpa, proprietaria del gruppo Mountain Lodges of Nepal, ha comprato una struttura nel 2014. Il progetto era lineare: rinnovarlo e aggiungerlo agli altri 15 campi tendati e lodge della compagnia, creando una nuova tappa nel circuito di trekking tra l’Everest e Annapurna. Ma basta avviare i lavori per capire che si stava costruendo piuttosto una nuova destinazione. Per progettare l’hotel è stato scelto l’architetto Bill Bensley, un integralista del design sostenibile. L’intesa ha funzionato bene, al punto di scegliere il suo brand Shinta Mani anche per la gestione. Shinta Mani ha inaugurato ad agosto 2023, aprendo di fatto il Mustang al mondo.

Il soggiorno minimo è di cinque notti, e la tariffa include tutti i servizi, dalla pensione completa alle attività, dai trekking guidati alle lezioni per preparare il tè secondo come si fa da queste parti.

L'hotel Shinta Mani Mustang. Foto di Elise Hassey, courtesy dell'hotel

Il viaggio nel Mustang è un’occasione per incontrare persone dalla cultura diversa e per riflettere sul delicato equilibrio tra tradizione e modernizzazione. E anche se il Paese è attualmente sotto i riflettori dei viaggi di lusso grazie all’apertura del nuovo cinque stelle, bisogna andare oltre al comfort dell’ospitalità e ricordare che questo luogo è tuttora un raro microcosmo dell’antica cultura tibetana himalaiana e come tale va tutelato. Per 10 giorni in Mustang, si paga una tassa di soggiorno di 500 dollari, a meno che non si faccia parte di una spedizione umanitaria o di ricerca.

Un mondo diverso a 3.800 metri di altitudine. Foto courtesy Shinta Mani Mustang

Altri articoli dal journal